giovedì, marzo 31

quello che ci faceva andar avanti erano i piedi.

volevamo far del male alle nostre ginocchia livide
griffate, rattoppate, sbucciate.
perché cosi sarebbero state più belle.
perché poi avremmo potuto curarle
e riscaldare i nostri piedi freddi.

e mentre camminavo su scomode strade,
che non erano mie,
 i gas dell e auto all'ora di punta mangiavano il sole che riscaldava
quella fresca giornata primaverile.
la camicia di jeans che avevo era troppo strappata per farla vedere a te
.mentre camminavo ,ad un certo punto, le mie orecchie non sentivano nulla se non un trombettar circense di un piccolo emigrante postato di li duecento metri,che con le note spiegava il perché di tanto amore con una musica triste ,che vederti fa male alla vista al sangue e alla pressione.
c'eri in quel alienarsi di gente
in un modo mio
come c'erano i cani con i loro padroni fighi alle ore quattordici e tre di un martedì pomeriggio presso i viali di alcuni uffici pubblici
che ho raggiunto la quiete nel momento in cui ti ho visto
un bacio a te che non ci sei
se dovessimo scontrarci un giorno,regalami un ventaglio con su scritta una poesia
che fa tanto settecento e amor cortese
che fa tanto me
Che la sig. Giorgione era elegante e aggraziata colta nella sua saggezza ricca e veneranda
i suoi beni potevano sfamare il terzo mondo
collezione privata di armi da fuoco cappelli, quadri,stemmi, lampadari e poltrone d'oro.
un hardisc pieno di poesia non vale nulla se non ci sei tu.
e se tu non ci sei , non ha senso.
non ha senso.
se mi leggi non esisti.percepiscimi e paragonami.
non ammutolirti che mi preoccupi.
mangiamo carote ,mio bux-bunny,
sul prato dietro scuola
che ci faranno diventare arancio al sole, e poi andremo per le vie del borgo
ma la donzelletta non vien dalla campagna ma dai terreni occupati dai pannelli fotovoltaici.
sul calar del sole berremo del te alla pesca
ma tu dici che la mia di pelle è migliore
e che io son la pesca.
ed allora fanculo thè.

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